Amato da molti, difeso dagli ambientalisti, temuto dai cacciatori e da alcuni politici, l’orso vive la stessa sorte toccata agli immigrati. Nulla di blasfemo nel dirlo, solo la considerazione dei fatti.
MJ5, questo il “nome” affibbiato all’esemplare che ha spaventato un uomo nelle scorse settimane. Sì, spaventato, perché se avesse voluto far male l’uomo sarebbe ridotto a brandelli. Pochi sanno che MJ5 si chiama così perché figlio di Maja e Joze (genitori immigrati dalla Slovenia), e perché è nato nel 2005. Detta così la cosa assume un diverso significato, fa capire che c’è dell’altro. C’è l’idea dietro che per difendersi da un orso bisogni ucciderlo, il ché a sua volta sottintende l’idea, che uccidere un orso sia un “bene”, che lasciarlo in vita sia un “male” e che dunque non bisogna rompersi la testa per trovare il modo di non ucciderlo.
È lo stesso con gli immigrati, anche loro -quando vengono trovati morti- vengono schedati con un codice, ed anche loro attirano la violenza dei deboli.
Non è per questo che siamo venuti al mondo, e non è per questo che la nostra specie ha prevalso sulle altre.
Nel caso specifico l’uomo aveva con sé un cane. Il cane quando sente l’odore dell’orso diventa cattivo, lo diventa per difendere il proprio “padrone”. È così che lo diventa anche l’orso, e lo scontro è inevitabile. Il cane vuol mordere l’orso, l’orso vuol mordere l’uomo.
Non abbiamo nulla da rimproverare a questo boscaiolo, se non una cosa: deve sapere che non si può più entrare nei boschi senza rispettarne le regole. Nei boschi noi umani non siamo più soli. Dobbiamo entrare senza farci uccidere. Ma anche senza uccidere.
Albino Leonardi