Appena arrivati a Palazzo Chigi, i nuovi detentori del potere politico nazionale hanno subito mostrato la loro fermezza decisionale, ignorando qualsiasi diverso orientamento e proposta.
Condotta del tutto comprensibile, se si pensa che non erano al governo del Paese dal 26 dicembre 1946….
Con una duplice disposizione (che non dovrebbe e non potrebbe essere inserita nella Legge Finanziaria, in quanto priva di attinenza) è stato radicalmente innovato (in maniera negativa) l’art. 19 della legge nazionale sulla caccia 11 febbraio 1992 n. 157.
Quanto all’assenza di attinenza osservo che “La legge di stabilità reca pertanto esclusivamente norme tese a realizzare effetti finanziari con decorrenza nel triennio considerato dal bilancio pluriennale e non può contenere norme di delega ovvero norme recanti interventi di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio, né interventi di natura localistica o microsettoriale” (da Parlamento italiano).
Questo, per evitare ciò che in passato veniva definito assalto alla diligenza; momento in cui i parlamentari, per soddisfare le aspettative più disparate dei propri elettori tentavano di inserire, e spesso ci riuscivano, disposizioni che nulla avevano a che vedere con la legge di bilancio.
Con la legge di stabilità 2023 il …vizietto ha trovato nuova modalità di riprovevole esercizio inserendo con l’art. 1, comma 447, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, la “caccia” ai cinghiali nelle città e nelle aree protette.
Questa iniziativa dei nuovi “Padroni” del governo nazionale avrebbe potuto e/o dovuto essere bloccata dal presidente Mattarella per i limiti di contenuto della legge di bilancio ma, purtroppo, il Capo dello Stato, ha firmato la legge de qua nella sua interezza, donde la sua pubblicazione in G.U. e la sua entrata in vigore.
La legge nazionale sulla caccia (157/1992) prevede due modalità, che, peraltro, si concludono sempre con lo sparo all’animale, e cioè l’esercizio venatorio propriamente detto (art. 12) ed il controllo della fauna selvatica (art. 19).
Prima della modifica dell’art. 19, questo era così formulato: “Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l’Istituto verifichi l’inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimenti”. Ergo, prima vigeva una normativa civile che anteponeva
alla sbrigativa uccisione l’obbligo preventivo di utilizzare metodi ecologici (non violenti).
La nuova destra al potere ha cancellato la norma anzidetta autorizzando, esclusivamente, l’utilizzo del fucile.
Si tenga presente che l’esercizio dell’attività di “controllo” (leggasi sparo e morte) è “giustificata”, tra altri presupposti, “…per la tutela della pubblica incolumità e della sicurezza stradale”. Ai nuovi geni della politica nazionale vorrei chiedere come può perseguirsi e conciliare questo fine/obiettivo con l’esercizio dell’attività di controllo nelle AREE URBANE. Se non si trattasse di violenza, sofferenza e morte, sentirei l’impulso irrefrenabile di ridere.
La nuova destra, mostrando i muscoli, ha voluto fare tombola, disponendo una generale deregulation autorizzando il cosiddetto controllo di tutte le specie di fauna selvatica (quindi, non solo dei cinghiali) anche nelle zone vietate alla caccia (quindi nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali, nelle zone di ripopolamento e cattura, nei parchi e nei giardini urbani, nei terreni adibiti ad attività sportive (art. 30, lett. d), della legge 157/92) e ciò anche nei giorni di silenzio venatorio (martedì e venerdì) e nei periodi di divieto (quindi, TUTTO L’ANNO).
Con il nuovo governo prende corpo ed inizio, ahimè, il Far West venatorio.
E dire, che con il decreto ministero della salute (del precedente governo Draghi) 28 settembre 2022, è stata autorizzata la sperimentazione in Italia del vaccino immuno-contraccettivo “GonaCon” che, ove desse risultati positivi, potrebbe essere somministrato anche ai cinghiali con evidente intuibile contenimento dello sviluppo demografico di questa popolazione selvatica. Invece di dar via libera agli spari cittadini, non si poteva attendere l’esito della sperimentazione?
È stato dichiarato, dal previgente Ministero della salute, che la sperimentazione risponde alla necessità di “contrastare e prevenire con efficacia la proliferazione di alcune specie di fauna, per prevenire eventuali danni economici e in caso di accertati squilibri ecologici, in via sperimentale”.
Prospettazione e proposta da condividersi, che i nuovi attori della politica nazionale non hanno mostrato (purtroppo) di fare propria.
Prima di concludere questo pezzo voglio fare cenno ad ulteriori tre aspetti che meritano la mia attenzione.
In primo luogo, non posso evitare di constatare che i media insistono, pressoché quotidianamente, a richiamare la nostra attenzione visiva su piccoli branchi di cinghiali che transitano per le vie di Roma. La domanda sorge spontanea. Non è che siano attratti da diffuse fonti trofiche costituite dai noti cumuli di “monnezza” depositati in ogni dove della viabilità della capitale?
In secondo luogo, la normativa nazionale qui richiamata non è immediatamente applicabile, dovendo, prima, essere recepita dalle normative venatorie regionali e dalle province autonome di Trento e Bolzano.
In terzo luogo, occorre verificare a chi è imputabile l’asserita proliferazione del cinghiale. Con il comunicato stampa del 13 gennaio 2023 l’ISPRA ha dichiarato che “Sulla base dei numeri disponibili sui cinghiali prelevati (n.d.r., leggasi, abbattuti) e dei parametri reperibili nella letteratura scientifica, ISPRA ritiene plausibile una consistenza minima al 2021 di 1.500.000 di animali”, nonostante che i cinghiali uccisi nel periodo 2015-2021 siano stati pari a circa 300.000 all’anno. Sempre ISPRA, comunica che i cinghiali in Italia nel 2010 erano 500.000 e nel 2021 erano triplicati nonostante l’incremento degli abbattimenti. Dal ché, nasce spontaneo un interrogativo: la caccia favorisce l’incremento della diffusione della specie? I numeri indurrebbero a rispondere affermativamente.
Mi rimane da rispondere alla responsabilità di diffusione del cinghiale. Ed anche qui, faccio riferimento ad Ispra ed in particolare alle sue “Linee guida per la gestione del cinghiale nelle aree protette, 2° edizione, Quaderni di conservazione della natura numero 34”, pagg. 7-8: “Le cause che hanno favorito l’espansione e la crescita delle popolazioni sono legate a molteplici fattori sulla cui importanza relativa le opinioni non sono univoche, Tra questi, le immissioni a scopo venatorio, iniziate negli anni ’50, hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale.
Effettuati dapprima con cinghiali importati dall’estero, in un secondo tempo i rilasci sono proseguiti soprattutto con soggetti prodotti in cattività in allevamenti nazionali. Tali attività di allevamento ed immissione sono state condotte in maniera non programmata e senza tener conto dei principi basilari della pianificazione faunistica e della profilassi sanitaria e, attualmente, il fenomeno sembra interessare costantemente nuove aree con immissioni più o meno abusive (come testimonia la comparsa della specie in alcune aree dell’Arco alpino dove l’immigrazione spontanea sembra evidentemente da escludersi).
La conclusione è ovvia e scontata. La responsabilità della presenza e della diffusione del cinghiale (all’insegna del motto, prima rilascio e poi caccio) va attribuita al popolo venatorio (con qualche lodevole eccezione) e cioè a coloro che sovente dichiarano (e purtroppo ci credono), “I veri ecologisti siamo noi”.
Ovviamente, DISSENTO.
Adriano Pellegrini