OVVERO
Una pratica irrispettosa dell’ambiente dettata da evidente e tangibile egotismo
Dalla disamina del combinato disposto degli artt. 183, 192 e 255 del T.U.A. (Testo Unico dell’Ambiente) ho tratto le seguenti deduzioni e conclusioni. Soggiungo, di aver riposto la mia attenzione anche sull’Allegato B, operazioni di smaltimento, unito al D. Lvo 3 aprile 2006, n. 152.
Anzitutto, ho cercato di attribuire un palmare significato alla nozione di rifiuto così definita dall’art. 183, co. 1, lett. a): “rifiuto”: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.
È noto che questa nozione basilare sia stata oggetto di ripetuti e molteplici approfondimenti, sia da parte della giurisprudenza (comunitaria e nazionale) che dalla dottrina.
La dottrina (Matteo Benozzo), in Commento al Codice dell’ambiente (Alberto Germanò, Eva Rook Basile, Francesco Bruno, Matteo Benozzo)., editore G. Giappichelli, pagg. 537-538 ha concluso “con il ritenere compresi in tale nozione non solo i rifiuti come tali sin dall’origine, ma anche quelle sostanze, materiali e oggetti che, pur non ancora privi di valore economico e quindi potenzialmente destinati a un uso ulteriore, non si presentano più idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati”. (Cass. pen. Sez. III, 26 febbraio 1991, n. 2607 – 22 luglio 2009, n. 30393, 27 giugno 1992, n. 7567). Idem, TAR Lombardia Brescia, Sez. I, sent. 23 agosto 2021, n. 766, Corte di Appello di Napoli. Sez. VII penale, n. 2717 del 5 giugno 2013, secondo cui: “Si accoglie, quindi, una nozione ampia di rifiuto, fondata su risultanze oggettive e alla quale devono essere ricondotti sostanze ed oggetti non più idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati, pur se non ancora privi di valore economico”.
L’orientamento consolidato della Suprema Corte di cassazione. “si pone dunque in continuità con l’interpretazione maggioritaria, che accoglie una nozione di rifiuto, fondata su risultanze oggettive ed alla quale devono essere ricondotti sostanze ed oggetti non più idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati, pur se non ancora privi di valore commerciale”. Ove fossi chiamato ad esemplificare, ricorrerei a questa modalità: i pneumatici non più idonei alla circolazione su strada vengono utilizzati dal proprietario per recintare il proprio orto domestico. Posto che si tratta di utilizzo diverso dalla loro funzione originale questa destinazione ulteriore e residuale equivale all’abbandono di rifiuti.
La circostanza che l’A.P.P.A. (Agenzia provinciale per la protezione dell’Ambiente) codifichi sub “rifiuti non pericolosi”, sottordine “rifiuti plastici”, codice C.E.R. 02.01.04, nello specifico, “reti e cappucci protettivi antigrandine”, dimostra che quando tali beni, esaurita la loro funzione originaria vengono utilizzati per altri diversi scopi, i beni de quibus vengono conseguentemente ricompresi nell’ordinaria nozione di rifiuto.
Aggiungasi, per altre motivazioni, che l’utilitaristico/egoistico uso/abuso di detti beni, ormai sottratti all’uso originario, adattati a fungere da recinzione dei frutteti (fenomeno diffuso in Val di Non ed in altri comparti agricoli del territorio provinciale), a ragione del fatto che …nulla si butta e tutto torna utile…ha determinato l’interclusione di preesistenti corridoi faunistici, provoca il traumatico e sofferente decesso di piccoli nati di ungulati e mammiferi ed agevola la predazione da parte di lupi ed orsi a cagione della chiusura delle vie di fuga.
Oltre ad attribuire un tocco di gradevolezza ed armonia al nostro ambiente paesaggistico sempre più palificato….
Peccato che a fronte di questo, a mio avviso, illegittimo uso del rifiuto, la vigilanza sia alquanto latitante.
Il Presidente dell’Ente Provinciale Protezione Animali e Ambiente